lunedì 27 giugno 2011

Recensione: Puella Magi Madoka Magica (2011)

Puella Magi Madoka Magica (Mahou Shoujo ★ Madoka Magika) - Akiyuki Shinbo (2011)

Madoka e la sua migliore amica Sayaka sono due studentesse delle medie e un giorno vengono avvicinate da uno strano essere di nome Kyubey che propone loro di esaudire un desiderio e in cambio loro devono diventare delle ragazze magiche e combattere le streghe per il resto della vita. Homura, una ragazza magica, vuole impedire loro di stipulare il contratto perché non è lo strano essere non avrebbe detto tutta ciò che questo dovrebbe comportare, nel bene e nel male.

La scelte si fanno per veder realizzati i nostri desideri più grandi, e queste scelte richiedono dei sacrifici che costano fatica ed energia, ma questo è secondario finché c’è la speranza. Quando però la speranza viene meno e le scelte fatte un tempo appaiono sbagliate, il gioco vale ancora la candela?

In Puella Magi Madoka Magica, il mondo viene visto come pervaso da sofferenza, disperazione e sogni infranti. Qui il bene non vince sempre e la ragazze magiche non combattono per la salvezza del mondo dal male assoluto. Infatti a ben vedere, i concetti di bene e male sono molto sfumati e dipendono dai punti di vista: il genere umano col proprio alternare emozioni positive a emozioni negative e pagando con la vita, può contribuire ad evitare la morte termica dell’universo, ma questo è negativo solamente a seconda del punto di vista dal quale lo si vuole guardare. Se si è una giovane ragazzina delle medie che è costretta a sacrificarsi a sua insaputa è certamente un male, un inganno, ma se si è una creatura di un altro mondo che non ha alcuna empatia con gli umani e che ha come scopo solamente salvare l’universo, la cosa è vista più positivamente. 

Il mondo non è un posto sempre pieno di gioia di vivere, ma è destinato a soffrire a causa proprio della natura emotiva dei suoi abitanti e non può  essere salvato. Il destino che ci aspetta, il nostro futuro non possiamo cambiarlo, neanche avendo poteri magici per tornare indietro a correggere i nostri errori. Il bene e il male non ci sono nella forma che ci hanno sempre insegnato, ci sono solo contratti da rispettare, decisioni prese e da prendere che possono rivelarsi sbagliate e portare a conseguenze nefaste. Questo è quello che viene ribadito in ogni puntata, e non è che metta proprio allegria.

Questo anime così fuori canone e così triste ha un impianto tecnico notevole, soprattutto per quanto riguarda le ambientazioni che vanno da spazi aperti e ampi e pieni di vetrate trasparenti da cui si vede un paesaggio limpido e sereno, a spazi angusti, scuri, cupi, quasi burtoniani, rappresentati come disegni di un bambino poco dotato, che lasciano trasparire inquietudine e sogni infranti. Lo stesso vale per i nemici, le streghe, sono raffigurate come un qualcosa di indefinito, che cambia costantemente forma, come d'altronde lo è il male stesso.

Il riferimenti al Faust di Goethe sono moltissimi, basti pensare alle scritte sui muri che rimandano a interi passi dell’opera. La citazione però più evidente la si trova nel personaggio di Kyubey che agisce come un moderno Mefisofele, offrendo a deboli ragazze una speranza in cambio della loro anima per l’eternità. Le stesse caratterizzazioni delle ragazze magiche fanno riferimento ai vari aspetti del carattere di Faust.

A voler ben guardare, c’è anche un richiamo lontanissimo alla struttura classica della fiaba, ovvero principe-strega-principessa: le streghe che combattono le maghette ricoprono, ovviamente la parte della strega, che si nutre delle emozioni negative delle persone e le spinge a compiere atti estremi con la manipolazione; Kyubey stesso poi  è una sorta di strega, che cerca di convincere in tutti i modi deboli ragazzine a sottoscrivere un contratto con lui in cambio di un’apparente felicità; le ragazze magiche sono dei principi quando combattono le streghe ma sono anche delle principesse da salvare sotto l’effetto di un incantesimo.

Promosso a pieni voti, è in arrivo per Dynit.





lunedì 20 giugno 2011

Recensione: Thor (2011)

Thor (Thor) - Kenneth Branagh (2011)

Premetto che io i film dei supereroi me li sono guardati praticamente tutti, anche se dal trailer si sapeva già che erano brutti. Thor per fortuna non rientra in questa categoria, anzi.

Finalmente si sono decisi a fare un film su Thor! Giubilo in tutto il reame! Thor penso sia uno dei supereroi più fighi dell’universo Marvel, non solo perché è appunto un supereroe, ma perché è anche una fottutissima divinità. Ma andiamo con ordine.

Come nella migliore mitologia norrena, Thor è il figlio arrogante, invasato, presuntuoso, wannabe hero di Odino e il fratello di Loki, molto più riflessivo, calmo e con un leggero complesso di inferiorità. Quando la pace di Asgard viene compromessa e il regno dei giganti di ghiaccio minaccia guerra proprio per causa di Thor, questo viene esiliato sulla Terra e privato dei suoi poteri divini. Qui Thor incontra la bellissima e intelligentissima ricercatrice Natalie Portman Jane Foster e dopo molte vicissitudini se ne innamora (e vorrei anche vedere!). Ad Asgard intanto Loki ha preso il posto del padre morente e medita di distruggere l’odiato Thor e la terra con essa, così il nostro dio dovrà cambiare se stesso per poter salvare padre e patria.

Lo script di questo film è stato curato in prima battuta da Michael Straczynski, curatore di fumetti come Fantastic 4, Spider Man e lo stesso Thor, e sceneggiatore del bellissimo Changeling di Clint Eastwood. In alcuni aspetti la sceneggiatura è un po’ distante dal fumetto originale, per esempio Thor non ha una doppia natura umana/divina, ma rimane un dio per tutto il film con tutto ciò che ne consegue e viene mostrato moltissimo riguardo il regno di Asgard, con tutti e suoi personaggi e le sue dinamiche interne. Questo però a favore di una migliore cinamatograficità del soggetto. 

I personaggi sono molto spesso solo appena accennati e  poco approfonditi, è vero, ma probabilmente perché faranno un seguito e ce li ritroveremo tutti assieme nel prossimo The Avengers di Joss Whedon l’anno prossimo. Nonostante ciò si può dire che Chris Hemsworth è un ottimo Thor, possente e ironico quanto chiede il personaggio, Tom Hiddleston è un Loki ambiguo e che speriamo di rivedere presto, Natalie Portman è una Jane Foster perfetta e brava e bellissima come sempre e Sir Anthony Philip Hopkins ormai è come il prezzemolo e ce lo ritroviamo dappertutto perché ha le rate della villa da pagare, ma è un prezzemolo di classe.

Per finire una nota sul regista: Kenneth Branagh non è un tipo da blockbuster sui supereroi, ma ha sempre diretto film del calibro di Hamlet e Henry V tratti dalle tragedie di Shakespeare. Questo si vede anche nel film, in cui le scene d’azione sono girate sembra un po’ forzatamente rispetto alle altre. 

In conclusione gli do tre pallini e mezzo +.

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venerdì 17 giugno 2011

Recensione: The Mist (2007)

The Mist (The Mist) - Frank Darabont (2007)


Stephen King e Hollywood vanno a braccetto ormai da anni con produzioni che vanno dallo scadente all’ottimo. The Mist di Frank Darabont (Il Miglio Verde, The Walking Dead) è l’ennesimo film tratto da una delle sue opere (il racconto La Nebbia contenuto nella raccolta Scheletri) ed è stato uno dei migliori film del 2007, nonostante da noi sia uscito vergognosamente con due anni di ritardo.

Dopo una tempesta violenta la ridente cittadina di Dridgton, nel Maine, viene completamente avvolta da una fitta nebbia che cela creature mostruose e carnivore che costringono un gruppo di abitanti a barricarsi in un supermercato e a lottare per sopravvivere.

Amanda Dunfrey: You don't have much faith in humanity, do you?
Dan Miller: None, whatsoever.
Amanda Dunfrey: I can't accept that. People are basically good; decent. My god, David, we're a civilized society.
David Drayton: Sure, as long as the machines are working and you can dial 911. But you take those things away, you throw people in the dark, you scare the shit out of them - no more rules. 

Nonostante il budget abbastanza limitato (18 milioni di dollari), il film riesce benissimo. Si può dire che questo sia un film perfettamente kinghiano, cioè sfrutta situazioni claustrofobiche, atmosfere orrori fiche e paurose per far emergere il lato più intimo dei personaggi. Oltre all’analisi dei personaggi, si analizza (o si vuole tentare di) anche l’intera società, che in un momento di crisi non è in grado di agire compatta e organizzata: ci si rifugia negli integralismi religiosi, nelle divisioni, nel leaderismo. Tutto ciò condurrà inesorabilmente a una spirale discendente di violenza e orrore, che terminerà con il tentativo di fuga, peraltro inutile, dei cinque protagonisti.

Ollie Weeks: What's going on?
Mrs. Carmody: It's death.

Le creature lovecraftiane, provenienti da un altro mondo non sono mai mostrate completamente, fatta eccezione per alcune. Si sa che sono là fuori, nascoste, ma non si sa come sono fatte, dove sono, cosa stanno facendo; è questo mostrare/non mostrare aumenta notevolmente il livello di tensione, perché nulla è più pauroso dell’ignoto e soprattutto dell’ignoto che dentro di sé nasconde la morte.

Sì può vedere anche un richiamo palese all’opera tanto cara a Stephen King Il Signore delle Mosche di William Golding, che è stato uno dei primi ad criticare una fiducia troppo cieca nella tecnologia e a vedere come il male e il peccato portino a un disfacimento graduale di qualsiasi società civile. Male e peccato, in King come in Golding, sono da intendersi non come concetti religiosi, ma come corruzione ad opera della società che l’uomo stesso poi conduce alla rovina.

Menzione d’onore poi va fatta anche alla scena finale letteralmente da brividi, sia per la regia che per la musica scelta: l’agghiacciante The Host of Seraphim dei Dead Can Dance.

Consiglio anche a voi di perdervi due ore nella nebbia e guardare questo film.





mercoledì 15 giugno 2011

Recensione: Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del Mare (2011)

Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del Mare (Pirates of the Caribbean - On Stranger Tides) - Rob Marshal (2011)

Ormai a Hollywood vige una sola regola: mungi la mucca più che puoi. Il franchise di Pirates of the Caribbean non ne è stato ovviamente escluso ed è stato partorito questo quarto capitolo che mi ha letteralmente rubato 8 euro dal portafoglio.

Jack Sparrow, dopo aver liberato il fido Gibbs da una condanna a morte in quel di Londra, si ritrova imbarcato sulla nave di Barbanera a causa della sua bella figlia con direzione Fonte della Giovinezza. Lungo il viaggio rotorna in scena anche Barbossa con una fighissima gamba di legno che funge da bottiglie di rum e che farà squadra con Jack per vendicarsi di Barbanera perché ha perso la gamYAWWNN.

Centoquarantuno minuti di sonno, questo è Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare. Centoquarantuno.
Il passaggio dalla regia di Gore Verbinski a quella di Rob Nine Marshall si sente eccome: le scene degne di nota (registicamente parlando) si contano su un dito solo, mentre tutte le altre sono banali e sciatte e sanno di già visto.  Si sente anche l’assenza della ditta Orlando Bloom & Keira Knightley, il cui fare da spalla è stato solo in parte rimpiazzato da Penelope Cruz e Ian McShane. Mancano poi tutti quei personaggi  di contorno che facevano risaltare al meglio l’eccentricità di Jack Sparrow e dei suoi monologhi al limite dell’assurdo.

Insomma, troviamo Jack Sparrow in mezzo a una serie di storyline che non gli appartengono minimamente e che nemmeno lui sente sue veramente, ma prova ad interessarsene o a fare finte che gli interessino.
L’unica scena decente è stata quella delle sirene. Ma anche qui i personaggi della sirena e del chierico innamorati sono stati sfruttati male e descritti peggio, lasciati là a girarsi i pollici in favore dell’ennesimo duello con la spada. Avrebbero dovuto esser un richiamo alle favole di Andersen, ma alla fine quello che rimane è un e allora??

Stessa discorso si può applicare a Barbanera. Perché è così temuto? Perché sa trasformare le persone in zombi? Da dove vengono gli zombi? Non si sa e nessuno ha intenzione di spiegarlo.

Un film da vedere al cinema quindi? Assolutamente no, piuttosto da noleggiare in dvd tra qualche anno con gli sconti.





sabato 11 giugno 2011

Recensione: San Valentino di Sangue 3D (2009)



San Valentino di Sangue 3D (My Bloody Valentine 3D) - Patrick Lussier (2009)

Ieri notte accendo la televisione su Italia1 e scopro una cosa meravigliosa: fanno San Valentino di Sangue 3D 2D. Penso sia uno dei film più lol che abbia visto.

La trama ve la copio da Wikipedia, perché sono pigro:

In una miniera di Harmony gestita dalla Hanniger Mining Company crolla un tunnel e sei operai rimangono intrappolati. All'arrivo dei soccorsi si scopre che alcuni operai sono stati uccisi a colpi di piccone da un loro collega, Harry Warden, unico sopravvissuto (anche se caduto in coma irreversibile) insieme a Tom Hanniger (figlio del direttore della miniera). Si viene a sapere che il colpevole dell'incidente è Tom, il quale ha innarvertitamente lasciato aperte le bocche del metanocausando l'esplosione.
Ad un anno di distanza dalla tragedia, il giorno di san Valentino, Harry Warden si risveglia dal coma ma totalmente cambiato. Infatti uscendo dall'ospedale uccide chiunque gli si pari contro cercando di raggiungere la miniera. Ma proprio nel sito si sta tenendo una festa tra i giovani della cittadina, e all'arrivo di Warden inizia la strage.
La polizia riesce in tempo a ucciderlo mentre entra nelle profondità della miniera, ma il bilancio finale è di 22 vittime.
Trascorrono altri dieci anni, per i festeggiamenti di san Valentino, Tom decide di tornare ad Harmony, ma l'ossessione di aver causato l'incidente e la furia omicida di Harry ancora lo tormenta. La città è molto cambiata, la sua ragazza al tempo dei fatti, Sarah, è ora sposata con Axel, adesso sceriffo del paese.
Nell'aria si respira festa, ma una strana figura vestita da minatore e con il volto coperto da una maschera di protezione inizia a trucidare i giovani del paese. È a questo punto che gli scheletri nell'armadio tornano a galla, e Axel, Sarah e Tom si mettono alla ricerca del killer con il timore che possa trattarsi di Harry Warden, tornato per ultimare il suo lavoro cominciato dieci anni prima.

Letta? Avete riso abbastanza? Bene. Adesso vediamo i motivi per cui vedere questo film:
  1. C'è un assassino pazzo/mascherato che uccide la gente con un piccone.
  2. C'è l'amore tra adolescenti.
  3. C'è una festa del liceo.
  4. E' un remake di un film che non ho visto e non so se vedrò mai.
  5. Ci sono squartamenti a chili.
  6. L'assassino invia i cuori delle vittime dentro scatole di cioccolatini (this is so sweet!!)
  7. E' ambientato in una cittadina che sembra Forks di Twilight Saga: grigia, immersa nel bosco, uggiosa, con gente vestita con camicie a quadri.
  8. C'è una tizia che corre nuda, con la figa al vento.
  9. C'è un cadavere che viene ritrovato dentro una lavatrice.
  10. Il negro questa volta non muore male (sic.)
  11. Muore la cameriera, ma solo perché è di una minoranza etnica.
  12. C'è un bambino biondissimo coi capelli a caschetto che è figlio di due persone more morissime.
  13. Lui ama lei, ma lei ama l'altro.
  14. Le donne sono tutte un po' troie.
  15. Recitano tutti da cani.
  16. La regia non c'è e la fotografia è degna del peggior Beautiful.
  17. Battute del calibro di "Qui c'è gente che muore!" e "Puoi rimanere qui e cercare di ricominciare, oppure continuare a scappare per sempre."
  18. C'è il vecchio ubriaco che dorme con il fucile.
  19. In una casa abbandonata immersa nel bosco, in piena notte, c'è luce che entra dalla finestra.
  20. Durante i flashback ci sono immagini sovrapposte ad altre immagini, molto anni'80.
  21. La computer grafica puzza di b-movie lontano un chilometro.
  22. Le attrici probabilmente le hanno ingaggiate in base alle loro misure e/o in base a quanti favori sessuali hanno concesso. Propendo per la seconda.
  23. C'è l'attore che faceva Jack in Dawson's Creek (sì, quello gay) e l'attore che fa Dean in Supernatural. Sono dei cani.

Non so voi, ma io non me la sento di dare a questo film meno di quattro, perché dopotutto sono state due ore di lol continuo. Attendiamo tutti con ansia il sequel.