mercoledì 13 luglio 2011

Recensione: Mawaru Penguindrum - 01 - The Bell of Fate Rings

Dopo quasi dodici anni di assenza dalle scene dell'animazione, ecco che rispunta il nome di Kunihiko Ikuhara, ovvero colui che ha creato uno degli anime più psichedelici  che abbia visto: Shoujo Kakumei Utena - La Rivoluzione di Utena (oltre che aver diretto la terza stagione di Sailor Moon, che diciamocelo, era la migliore).

In questo primo episodio si viene introdotti in una storia che sembra assolutamente canonica: due fratelli Shouma e Kanba e la loro sorellina Himari, di salute cagionevole e gravemente malata, vivono da soli poiché i genitori sono morti e cercano di ritrovare la felicità di un tempo nelle piccole cose di ogni giorno, come ad esempio il fare colazione tutti assieme. Per festeggiare la sorella, viene indetto l'Himary Day e  i tre fratelli decidono di andare all'acquario tutti assieme. Qui Himari collassa e muore poco dopo in ospedale. Tutto sembra ormai perduto, se non che Himari resuscita di punto in bianco e guarisce miracolosamente dalla sua malattia. Si scoprirà che a compiere il miracolo sono stati tre pinguini che vogliono mettere in atto, attraverso i tre fratelli, un misterioso piano per la sopravvivenza.

Kunihiko Ikuhara è tornato i grande stile e lo si vede eccome! Già prima della sigla di apertura, ma anche più avanti nella storia, assistiamo a dialoghi che vertono sul senso del destino e sul significato dell'esistenza di Dio, temi che sono molto cari al Ikuhara e che ha già analizzato più volte nelle sue opere. Per concludere alla fine ci viene regalato un bacio tra fratello e sorella molto incestuoso che ci porta all'altro tema caro a Ikuhara: l'incesto, appunto.

Nota: particolare è anche la realizzazione tecnica che vede molti stacchi su mappe,  percorsi, cartelli della metropolitana, come se si volesse richiamare il tema delle strade e delle automobili di Utena.

A questo episodio do 4 e mezzo, perché per ora è uno degli anime che promettono di più di questa stagione.

venerdì 8 luglio 2011

Favorite quotes #01: Code Geass

- C.C.: Volere la morte è la provvidenza di questo mondo. In fin dei conti, la vita è un limite.
- Lelouch: Non è vero, la vita esiste perché siamo vivi.
- C.C.: E' la stessa cosa, le persone sono coscienti della vita perché esiste la morte.
- Lelouch: Questi discorsi sono giochi di parole!
- C.C.: Forse. Ma le persone muoiono.
- Lelouch: Allora, secondo te, il significato della nostra esistenza...
- C.C.: Dovresti saperlo, non è altro che un'inutile illusione.
- Lelouch: Una vita che esiste solo per finire?
- C.C.: Il persistente non morire non è certo vita. Diciamo che è un accumulo di esperienze.
~ Code Geass R2 - Episodio 15

lunedì 27 giugno 2011

Recensione: Puella Magi Madoka Magica (2011)

Puella Magi Madoka Magica (Mahou Shoujo ★ Madoka Magika) - Akiyuki Shinbo (2011)

Madoka e la sua migliore amica Sayaka sono due studentesse delle medie e un giorno vengono avvicinate da uno strano essere di nome Kyubey che propone loro di esaudire un desiderio e in cambio loro devono diventare delle ragazze magiche e combattere le streghe per il resto della vita. Homura, una ragazza magica, vuole impedire loro di stipulare il contratto perché non è lo strano essere non avrebbe detto tutta ciò che questo dovrebbe comportare, nel bene e nel male.

La scelte si fanno per veder realizzati i nostri desideri più grandi, e queste scelte richiedono dei sacrifici che costano fatica ed energia, ma questo è secondario finché c’è la speranza. Quando però la speranza viene meno e le scelte fatte un tempo appaiono sbagliate, il gioco vale ancora la candela?

In Puella Magi Madoka Magica, il mondo viene visto come pervaso da sofferenza, disperazione e sogni infranti. Qui il bene non vince sempre e la ragazze magiche non combattono per la salvezza del mondo dal male assoluto. Infatti a ben vedere, i concetti di bene e male sono molto sfumati e dipendono dai punti di vista: il genere umano col proprio alternare emozioni positive a emozioni negative e pagando con la vita, può contribuire ad evitare la morte termica dell’universo, ma questo è negativo solamente a seconda del punto di vista dal quale lo si vuole guardare. Se si è una giovane ragazzina delle medie che è costretta a sacrificarsi a sua insaputa è certamente un male, un inganno, ma se si è una creatura di un altro mondo che non ha alcuna empatia con gli umani e che ha come scopo solamente salvare l’universo, la cosa è vista più positivamente. 

Il mondo non è un posto sempre pieno di gioia di vivere, ma è destinato a soffrire a causa proprio della natura emotiva dei suoi abitanti e non può  essere salvato. Il destino che ci aspetta, il nostro futuro non possiamo cambiarlo, neanche avendo poteri magici per tornare indietro a correggere i nostri errori. Il bene e il male non ci sono nella forma che ci hanno sempre insegnato, ci sono solo contratti da rispettare, decisioni prese e da prendere che possono rivelarsi sbagliate e portare a conseguenze nefaste. Questo è quello che viene ribadito in ogni puntata, e non è che metta proprio allegria.

Questo anime così fuori canone e così triste ha un impianto tecnico notevole, soprattutto per quanto riguarda le ambientazioni che vanno da spazi aperti e ampi e pieni di vetrate trasparenti da cui si vede un paesaggio limpido e sereno, a spazi angusti, scuri, cupi, quasi burtoniani, rappresentati come disegni di un bambino poco dotato, che lasciano trasparire inquietudine e sogni infranti. Lo stesso vale per i nemici, le streghe, sono raffigurate come un qualcosa di indefinito, che cambia costantemente forma, come d'altronde lo è il male stesso.

Il riferimenti al Faust di Goethe sono moltissimi, basti pensare alle scritte sui muri che rimandano a interi passi dell’opera. La citazione però più evidente la si trova nel personaggio di Kyubey che agisce come un moderno Mefisofele, offrendo a deboli ragazze una speranza in cambio della loro anima per l’eternità. Le stesse caratterizzazioni delle ragazze magiche fanno riferimento ai vari aspetti del carattere di Faust.

A voler ben guardare, c’è anche un richiamo lontanissimo alla struttura classica della fiaba, ovvero principe-strega-principessa: le streghe che combattono le maghette ricoprono, ovviamente la parte della strega, che si nutre delle emozioni negative delle persone e le spinge a compiere atti estremi con la manipolazione; Kyubey stesso poi  è una sorta di strega, che cerca di convincere in tutti i modi deboli ragazzine a sottoscrivere un contratto con lui in cambio di un’apparente felicità; le ragazze magiche sono dei principi quando combattono le streghe ma sono anche delle principesse da salvare sotto l’effetto di un incantesimo.

Promosso a pieni voti, è in arrivo per Dynit.





lunedì 20 giugno 2011

Recensione: Thor (2011)

Thor (Thor) - Kenneth Branagh (2011)

Premetto che io i film dei supereroi me li sono guardati praticamente tutti, anche se dal trailer si sapeva già che erano brutti. Thor per fortuna non rientra in questa categoria, anzi.

Finalmente si sono decisi a fare un film su Thor! Giubilo in tutto il reame! Thor penso sia uno dei supereroi più fighi dell’universo Marvel, non solo perché è appunto un supereroe, ma perché è anche una fottutissima divinità. Ma andiamo con ordine.

Come nella migliore mitologia norrena, Thor è il figlio arrogante, invasato, presuntuoso, wannabe hero di Odino e il fratello di Loki, molto più riflessivo, calmo e con un leggero complesso di inferiorità. Quando la pace di Asgard viene compromessa e il regno dei giganti di ghiaccio minaccia guerra proprio per causa di Thor, questo viene esiliato sulla Terra e privato dei suoi poteri divini. Qui Thor incontra la bellissima e intelligentissima ricercatrice Natalie Portman Jane Foster e dopo molte vicissitudini se ne innamora (e vorrei anche vedere!). Ad Asgard intanto Loki ha preso il posto del padre morente e medita di distruggere l’odiato Thor e la terra con essa, così il nostro dio dovrà cambiare se stesso per poter salvare padre e patria.

Lo script di questo film è stato curato in prima battuta da Michael Straczynski, curatore di fumetti come Fantastic 4, Spider Man e lo stesso Thor, e sceneggiatore del bellissimo Changeling di Clint Eastwood. In alcuni aspetti la sceneggiatura è un po’ distante dal fumetto originale, per esempio Thor non ha una doppia natura umana/divina, ma rimane un dio per tutto il film con tutto ciò che ne consegue e viene mostrato moltissimo riguardo il regno di Asgard, con tutti e suoi personaggi e le sue dinamiche interne. Questo però a favore di una migliore cinamatograficità del soggetto. 

I personaggi sono molto spesso solo appena accennati e  poco approfonditi, è vero, ma probabilmente perché faranno un seguito e ce li ritroveremo tutti assieme nel prossimo The Avengers di Joss Whedon l’anno prossimo. Nonostante ciò si può dire che Chris Hemsworth è un ottimo Thor, possente e ironico quanto chiede il personaggio, Tom Hiddleston è un Loki ambiguo e che speriamo di rivedere presto, Natalie Portman è una Jane Foster perfetta e brava e bellissima come sempre e Sir Anthony Philip Hopkins ormai è come il prezzemolo e ce lo ritroviamo dappertutto perché ha le rate della villa da pagare, ma è un prezzemolo di classe.

Per finire una nota sul regista: Kenneth Branagh non è un tipo da blockbuster sui supereroi, ma ha sempre diretto film del calibro di Hamlet e Henry V tratti dalle tragedie di Shakespeare. Questo si vede anche nel film, in cui le scene d’azione sono girate sembra un po’ forzatamente rispetto alle altre. 

In conclusione gli do tre pallini e mezzo +.

+



venerdì 17 giugno 2011

Recensione: The Mist (2007)

The Mist (The Mist) - Frank Darabont (2007)


Stephen King e Hollywood vanno a braccetto ormai da anni con produzioni che vanno dallo scadente all’ottimo. The Mist di Frank Darabont (Il Miglio Verde, The Walking Dead) è l’ennesimo film tratto da una delle sue opere (il racconto La Nebbia contenuto nella raccolta Scheletri) ed è stato uno dei migliori film del 2007, nonostante da noi sia uscito vergognosamente con due anni di ritardo.

Dopo una tempesta violenta la ridente cittadina di Dridgton, nel Maine, viene completamente avvolta da una fitta nebbia che cela creature mostruose e carnivore che costringono un gruppo di abitanti a barricarsi in un supermercato e a lottare per sopravvivere.

Amanda Dunfrey: You don't have much faith in humanity, do you?
Dan Miller: None, whatsoever.
Amanda Dunfrey: I can't accept that. People are basically good; decent. My god, David, we're a civilized society.
David Drayton: Sure, as long as the machines are working and you can dial 911. But you take those things away, you throw people in the dark, you scare the shit out of them - no more rules. 

Nonostante il budget abbastanza limitato (18 milioni di dollari), il film riesce benissimo. Si può dire che questo sia un film perfettamente kinghiano, cioè sfrutta situazioni claustrofobiche, atmosfere orrori fiche e paurose per far emergere il lato più intimo dei personaggi. Oltre all’analisi dei personaggi, si analizza (o si vuole tentare di) anche l’intera società, che in un momento di crisi non è in grado di agire compatta e organizzata: ci si rifugia negli integralismi religiosi, nelle divisioni, nel leaderismo. Tutto ciò condurrà inesorabilmente a una spirale discendente di violenza e orrore, che terminerà con il tentativo di fuga, peraltro inutile, dei cinque protagonisti.

Ollie Weeks: What's going on?
Mrs. Carmody: It's death.

Le creature lovecraftiane, provenienti da un altro mondo non sono mai mostrate completamente, fatta eccezione per alcune. Si sa che sono là fuori, nascoste, ma non si sa come sono fatte, dove sono, cosa stanno facendo; è questo mostrare/non mostrare aumenta notevolmente il livello di tensione, perché nulla è più pauroso dell’ignoto e soprattutto dell’ignoto che dentro di sé nasconde la morte.

Sì può vedere anche un richiamo palese all’opera tanto cara a Stephen King Il Signore delle Mosche di William Golding, che è stato uno dei primi ad criticare una fiducia troppo cieca nella tecnologia e a vedere come il male e il peccato portino a un disfacimento graduale di qualsiasi società civile. Male e peccato, in King come in Golding, sono da intendersi non come concetti religiosi, ma come corruzione ad opera della società che l’uomo stesso poi conduce alla rovina.

Menzione d’onore poi va fatta anche alla scena finale letteralmente da brividi, sia per la regia che per la musica scelta: l’agghiacciante The Host of Seraphim dei Dead Can Dance.

Consiglio anche a voi di perdervi due ore nella nebbia e guardare questo film.





mercoledì 15 giugno 2011

Recensione: Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del Mare (2011)

Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del Mare (Pirates of the Caribbean - On Stranger Tides) - Rob Marshal (2011)

Ormai a Hollywood vige una sola regola: mungi la mucca più che puoi. Il franchise di Pirates of the Caribbean non ne è stato ovviamente escluso ed è stato partorito questo quarto capitolo che mi ha letteralmente rubato 8 euro dal portafoglio.

Jack Sparrow, dopo aver liberato il fido Gibbs da una condanna a morte in quel di Londra, si ritrova imbarcato sulla nave di Barbanera a causa della sua bella figlia con direzione Fonte della Giovinezza. Lungo il viaggio rotorna in scena anche Barbossa con una fighissima gamba di legno che funge da bottiglie di rum e che farà squadra con Jack per vendicarsi di Barbanera perché ha perso la gamYAWWNN.

Centoquarantuno minuti di sonno, questo è Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare. Centoquarantuno.
Il passaggio dalla regia di Gore Verbinski a quella di Rob Nine Marshall si sente eccome: le scene degne di nota (registicamente parlando) si contano su un dito solo, mentre tutte le altre sono banali e sciatte e sanno di già visto.  Si sente anche l’assenza della ditta Orlando Bloom & Keira Knightley, il cui fare da spalla è stato solo in parte rimpiazzato da Penelope Cruz e Ian McShane. Mancano poi tutti quei personaggi  di contorno che facevano risaltare al meglio l’eccentricità di Jack Sparrow e dei suoi monologhi al limite dell’assurdo.

Insomma, troviamo Jack Sparrow in mezzo a una serie di storyline che non gli appartengono minimamente e che nemmeno lui sente sue veramente, ma prova ad interessarsene o a fare finte che gli interessino.
L’unica scena decente è stata quella delle sirene. Ma anche qui i personaggi della sirena e del chierico innamorati sono stati sfruttati male e descritti peggio, lasciati là a girarsi i pollici in favore dell’ennesimo duello con la spada. Avrebbero dovuto esser un richiamo alle favole di Andersen, ma alla fine quello che rimane è un e allora??

Stessa discorso si può applicare a Barbanera. Perché è così temuto? Perché sa trasformare le persone in zombi? Da dove vengono gli zombi? Non si sa e nessuno ha intenzione di spiegarlo.

Un film da vedere al cinema quindi? Assolutamente no, piuttosto da noleggiare in dvd tra qualche anno con gli sconti.





sabato 11 giugno 2011

Recensione: San Valentino di Sangue 3D (2009)



San Valentino di Sangue 3D (My Bloody Valentine 3D) - Patrick Lussier (2009)

Ieri notte accendo la televisione su Italia1 e scopro una cosa meravigliosa: fanno San Valentino di Sangue 3D 2D. Penso sia uno dei film più lol che abbia visto.

La trama ve la copio da Wikipedia, perché sono pigro:

In una miniera di Harmony gestita dalla Hanniger Mining Company crolla un tunnel e sei operai rimangono intrappolati. All'arrivo dei soccorsi si scopre che alcuni operai sono stati uccisi a colpi di piccone da un loro collega, Harry Warden, unico sopravvissuto (anche se caduto in coma irreversibile) insieme a Tom Hanniger (figlio del direttore della miniera). Si viene a sapere che il colpevole dell'incidente è Tom, il quale ha innarvertitamente lasciato aperte le bocche del metanocausando l'esplosione.
Ad un anno di distanza dalla tragedia, il giorno di san Valentino, Harry Warden si risveglia dal coma ma totalmente cambiato. Infatti uscendo dall'ospedale uccide chiunque gli si pari contro cercando di raggiungere la miniera. Ma proprio nel sito si sta tenendo una festa tra i giovani della cittadina, e all'arrivo di Warden inizia la strage.
La polizia riesce in tempo a ucciderlo mentre entra nelle profondità della miniera, ma il bilancio finale è di 22 vittime.
Trascorrono altri dieci anni, per i festeggiamenti di san Valentino, Tom decide di tornare ad Harmony, ma l'ossessione di aver causato l'incidente e la furia omicida di Harry ancora lo tormenta. La città è molto cambiata, la sua ragazza al tempo dei fatti, Sarah, è ora sposata con Axel, adesso sceriffo del paese.
Nell'aria si respira festa, ma una strana figura vestita da minatore e con il volto coperto da una maschera di protezione inizia a trucidare i giovani del paese. È a questo punto che gli scheletri nell'armadio tornano a galla, e Axel, Sarah e Tom si mettono alla ricerca del killer con il timore che possa trattarsi di Harry Warden, tornato per ultimare il suo lavoro cominciato dieci anni prima.

Letta? Avete riso abbastanza? Bene. Adesso vediamo i motivi per cui vedere questo film:
  1. C'è un assassino pazzo/mascherato che uccide la gente con un piccone.
  2. C'è l'amore tra adolescenti.
  3. C'è una festa del liceo.
  4. E' un remake di un film che non ho visto e non so se vedrò mai.
  5. Ci sono squartamenti a chili.
  6. L'assassino invia i cuori delle vittime dentro scatole di cioccolatini (this is so sweet!!)
  7. E' ambientato in una cittadina che sembra Forks di Twilight Saga: grigia, immersa nel bosco, uggiosa, con gente vestita con camicie a quadri.
  8. C'è una tizia che corre nuda, con la figa al vento.
  9. C'è un cadavere che viene ritrovato dentro una lavatrice.
  10. Il negro questa volta non muore male (sic.)
  11. Muore la cameriera, ma solo perché è di una minoranza etnica.
  12. C'è un bambino biondissimo coi capelli a caschetto che è figlio di due persone more morissime.
  13. Lui ama lei, ma lei ama l'altro.
  14. Le donne sono tutte un po' troie.
  15. Recitano tutti da cani.
  16. La regia non c'è e la fotografia è degna del peggior Beautiful.
  17. Battute del calibro di "Qui c'è gente che muore!" e "Puoi rimanere qui e cercare di ricominciare, oppure continuare a scappare per sempre."
  18. C'è il vecchio ubriaco che dorme con il fucile.
  19. In una casa abbandonata immersa nel bosco, in piena notte, c'è luce che entra dalla finestra.
  20. Durante i flashback ci sono immagini sovrapposte ad altre immagini, molto anni'80.
  21. La computer grafica puzza di b-movie lontano un chilometro.
  22. Le attrici probabilmente le hanno ingaggiate in base alle loro misure e/o in base a quanti favori sessuali hanno concesso. Propendo per la seconda.
  23. C'è l'attore che faceva Jack in Dawson's Creek (sì, quello gay) e l'attore che fa Dean in Supernatural. Sono dei cani.

Non so voi, ma io non me la sento di dare a questo film meno di quattro, perché dopotutto sono state due ore di lol continuo. Attendiamo tutti con ansia il sequel.





venerdì 18 febbraio 2011

Recensione: Ga-Rei: Zero (2008)

Ga-Rei: Zero (Ga-Rei -Zero-) - Ei Aoki (2008)

Ga-Rei: Zero è il prequel del manga Ga-Rei disegnato da Hajime Segawa ed è stata la serie anime migliore del 2008, a mio modesto parere.

L'Agenzia per la Prevenzione di Disastri Sovrannaturali è una sezione del Ministero della Difesa giapponese, che ha lo scopo di prevenire gli attacchi paranormali e provocati da entità sovrannaturali. Per questo ente lavorano sia Kagura Tsuchimiya che Yomi Isayama, entrambe discendenti di potenti famiglie di esorcisti, che si ritroveranno a vivere assieme e a crescere come sorelle, o qualcosa di più. Si racconta quindi di come Yomi venga in possesso del demone-bestia Ranguren e Kagura di Byakuei, e di come poi le due diventino nemiche giurate l'una dell'altra.

Questa breve serie di 12 episodi, realizzati dallo studio AIC Spirits con un livello di animazione molto buono, mostra come anche le persone dal cuore più puro possano ritrovarsi in una condizione di forte disperazione, in seguito a eventi per i quali loro non hanno alcuna colpa. Proprio in queste situazioni, un'anima forte e coraggiosa può diventare essa stessa una sorta di demone votato alla sofferenza altrui.

I primi episodi forse potranno sembrare un po' lenti, ma nella seconda metà della serie la trama decolla e diventa sempre più avvincente, inchiodandoti allo schermo in una sempre maggiore ondata di scontri, violenze e sangue. In conclusione, molto consigliato. Anche a chi non ha letto (e non ha intenzione di leggere) il manga.






giovedì 17 febbraio 2011

Recensione: Inception (2010)

Inception (Inception) - Chritopher Nolan (2010)

Our dreams, they feel real while we're in them right? Its only when we wake up then we realize that something was actually strange.

Per quanto mi riguarda questo film fa concorrenza a The Social Network per essere il mio film dell'anno. Se mi chiedete quale dei due preferisco non saprei scegliere, davvero.

Dom Cobb è una persona speciale che sa entrare nei sogni delle persone per rubarne i segreti più nascosti e per questo è richiestissimo in ambito dello spionaggio industriale. Forse è il caso di dire che era richiestissimo, perché ora è ricercato per omicidio negli USA e si è dato alla macchia. Una possibilità di tornare in patria e di rivedere i suoi figli gli è data da Saito, ricco industriale giapponese che gli propone di innestare nella mente di un certo Robert Fischer Jr. l'idea di sciogliere l'impero finanziario che avrebbe ereditato alla morte del padre. Cobb quindi rimette assieme il suo vecchio gruppo e in più ingaggia anche la giovanissima Arianna, un architetto dei sogni.

Inception analizza la psiche umana e lo fa raccontando una storia che raggruppa in sé più generi: sci-fi, spionaggio, storia d'amore, azione. Come la psiche umana è un film intricato come pochi, che ti tiene incollato allo schermo per paura di perderti un passaggi cruciale e poi non capire più nulla. Il sogno qui viene mostrato come un qualcosa di misterioso, che aspetta solo di essere scoperto, e Nolan, con la sua regia impeccabile, sembra l'unico in grado di condurci all'interno di esso per mostrarci cos'è realmente. Il sogno come alternativa alla realtà, che può essere modellato a proprio piacimento, in cui il tempo scorre in modo tutto diverso. Ma se il sogno diventa predominante rispetto alla realtà, se si perdesse veramente il contatto con ciò che è concreto, cosa potrebbe succedere? Le risposte non vengono mai, ovviamente, date, ma solo lasciate intuire allo spettatore, che ha il compito qui di crearsi lui un'idea sull'argomento usando il film solo come spunto.

Nolan nel suo film ha anche voluto mettere qualche citazione e la cosa non può che far piacere. Il nome Arianna rimanda infatti a al mito greco di Arianna e del suo filo che aiuterà Teseo a uscire dal labirinto del minotauro. La scelta della canzone Je ne regrette rien, di Edith Piaf rimanda invece al film La Vie en Rose, con Marion Cotillard nel ruolo della protagonista.

Un film da vedere assolutamente, che conferma ancora una volta come Nolan sia uno dei registi migliori del nostro tempo.


Recensione: The Social Network (2010)

The Social Network (The Social Network) - David Fincher (2010)

You are probably going to be a very successful computer person. But you're going to go through life thinking that girls don't like you because you're a nerd. And I want you to know, from the bottom of my heart, that that won't be true. It'll be because you're an asshole.

Confesso che appena letta la notizia di un film su Facebook ho storto il naso e ho pensato che sarebbe stata l'ennesima pellicola stupida e inutile fatta solo per racimolare soldi seguendo la moda del momento. Non potevo sbagliarmi di più, perché The Social Network è diventato il mio film del 2010.

Mark Zuckerberg fino al 2004 era uno dei tantissimi studenti nerd della Harvard University. Poi una sera, dopo essere stato scaricato dalla sua ragazza, decide di creare un sito internet dove era possibile dare un voto alle ragazze dell'intero campus e l'operazione ha subito un successo clamoroso. Forte di una popolarità inaspettata (e di una multa per aver violato i sistemi di sicurezza), Zuckerberg viene avvicinato da alcuni studenti appartenenti a uno di quei club esclusivi che tutti vorrebbero, e viene incaricato di creare Facebook. Inutile dire che Mark li scaricherà è terrà l'idea tutta per sé. Da qui ha inizio una lunga azione legale per deciderne la paternità.

David Fincher gestisce in maniera magistrale più linee narrative: i flashback in cui si racconta la genesi vera e propria di Facebook e il tempo presente, quello della causa multimiliardaria per decidere chi in realtà è stato il padre fondatore del sito. Tralasciando completamente l'aspetto pubblico di Facebook e i suoi risvolti sociali, ci si immerge completamente in quello che in realtà è un one-man show condotto da Mark Zuckerberg, col suo modo di parlare stronzo, arrogante, saccente e col suo essere invidioso di chiunque  e voler essere popolare a tutti i costi. Anche a costo della vera amicizia. Ma alla fine cos'è un amico se non qualcuno da aggiungere o togliere alla propria lista contatti? Cosa importa poi se in realtà sei abbandonato da tutti, quando poi in rete sei la persona più invidiata del momento?

Ad affiancare Jesse Eisenberg nel suo rappresentare in modo perfetto l'incapacità espressiva e di relazione di Zuckerberg, troviamo un Andrew Garfield che dà voce al co-fondatore di Facebook, nonché all'unico vero amico che Mark abbia mai avuto ma che non ha esitato a sacrificare per il bene della propria popolarità e un Justin Timberlake nei panni di uno Sean Parker, creatore di Napster, carismatico e affascinante ,pronto a tutto per i soldi.

Tutto è poi tenuto perfettamente insieme da una colonna sonora ossessiva, claustrofobica, disturbata, paranoica e angosciante, ricca di freddi suoni elettronici e industrial. Firmata Nine Inch Nails Trent Reznor e Atticus Ross, questa musica ti entra letteralmente nel cervello e non ti molla più fino alla fine, facendoti guardare il tutto in una sorta di apnea, di tempo sospeso. Semplicemente geniale.




mercoledì 16 febbraio 2011

Recensione: Rabbit Hole (2010)

Rabbit Hole (Rabbit Hole) - John Cameron Mitchell (2010)

It's what you've got instead of your son. So, you carry it around. And uh... it doesn't go away. Which is fine, actually.

Da otto mesi Becca e Howie vivono in una sorta di limbo dopo che il loro figlioletto Danny morto per un incidente d'auto. Entrambi stanno cercando di elaborare il lutto ed entrambi lo fanno in modi diversi: lei cerca rifugio e conforto nei lavori di casa, preparando da mangiare, sistemando il giardino, rimuovendo tutto ciò che le possa far venire in mente Danny, anche se sa che ciò sarà impossibile; Howie invece cerca di non pensare alla cosa, quasi di ignorarla, ma la morte di un figlio ti cambia per sempre e infatti ogni sera finisce per guardare vecchi filmati sul suo telefonino. La chiave per superare questo rabbit hole, questa tana del coniglio, dove Becca e Howie sono bloccati, e andare finalmente verso un'esistenza più serena viene data dal ragazzo che guidava la macchina quel tragico giorno e da una donna incontrata a un gruppo di sostegno.

Quello che John Cameron Mitchell vuole fare con Rabbit Hole è semplicemente raccontare una storia e evidenziare l'ipocrisia e il moralismo che spesso circondano le nostre vite, e il fingere che vada tutto bene a ogni costo anche se ciò significa soffrire enormemente. E' un film che è tanto semplice quanto di valore, pronto a cogliere ogni attimo, ogni espressione, ogni lacrime di questo spaccato di vita così tragico.

Nicole Kidman è tornata ai fasti di The Hours, mostrando a tutti che è ancora una delle migliori attrici in circolazione, capace di essere semplicemente grandissima,  mentre Aaron Eckart mostra qui il suo lato più toccante e drammatico.

 - God had to take her. He needed another angel.
- He needed another angel. Why didn’t he just make one? Another angel. I mean, he’s God after all. Why didn’t he just make another angel?
Un film da vedere, consigliatissimo.

martedì 15 febbraio 2011

Recensione: Il Grinta (2010)

Il Grinta (True Grit) - Joel e Ethan Coen (2010)

People did not give it credence that a young girl could leave home and go off in the winter time to avenge her father's blood. But it did happen.

Fin da piccolo la mia reazione ai film wester è stata più o meno no i cowboy papà cambia canale ti prego!, però devo dire che questo Il Grinta firmato dai fratelli Coen mi è proprio piaciuto tanto.

Questo film è il capolavoro western dei nostri tempi che mette al centro delle vicende una ragazzina quattordicenne (Mattie) che col suo modo di fare molto adulto, con la sua parlantina tagliente, con il suo carattere a tratti ruvido si mette in viaggio per un selvaggio west devastato dalla guerra civile per vendicare la morte del suo amato papà. Assumerà per aiutarlo uno sceriffo vecchio e ubriacone, chiamato Il Grinta (in originale True Grit), al quale poi si aggiungerà un ranger texano.

True Grit vuole essere una rivisitazione del cinema western di quarant'anni fa e lo fa servendosi di dialoghi taglienti e ricchi dello humor tipico dei Coen, di una fotografia perfetta che cerca di fare entrare il più possibile lo spettatore nelle praterie sterminate e aspre e dove si deve sempre tenere un occhio vigile, di personaggi che sono tutti sporchi, sudati, grezzi, analfabeti e con un accento del sud marcatissimo, di musiche che rimandano immediatamente ai film con gli indiani e i cowboy (anche se ne ho visti gran pochi).

La splendida prova attoriale poi corona il tutto. Hailee Steinfeld che interpreta la piccola Mattie (è nata solo nel 1996) è senza troppi giri di parole bravissima e per questa interpretazione si è meritata la candidatura agli Oscar come miglior attrice non protagonista, Jeff Bridges è un ubriacone sporchissimo e ruvidissimo e Matt Damon si dimostra perfetto nella parte del ranger buono.

In questo film dove tutti scappano e tutti inseguono qualcuno, non manca poi una riflessione sulla vita nella parte iniziale e nella parte finale del film, dove a parlare è una Mattie ormai adulta ma che comunque sembra continuare a cercare qualcosa, anche se forse neanche lei sa bene cosa.

lunedì 14 febbraio 2011

Recensione: Poseidon (2006)

Poseidon (Poseidon) - Wolfgang Petersen (2006)

Another vent? No, not again!
Questo film è il remake de L'Avventura del Poseidon (1972) e come la nave fa acqua da tutte le parti e affonda lentamente ma inesorabilmente ogni minuto che passa. Mi chiedo ancora oggi come Kurt Russell si sia abbassato a fare questo film. Evidentemente anche lui ha una famiglia da sfamare.

Poseidon racconta di un gruppo di persone molto diverse tra loro per estrazione sociale, età, provenienza e anche orientamento sessuale che cercano di raggiungere la salvezza in seguito all'affondamento della nave causato da un mega tsunami. Inutile dire che partono in un decina e arrivano solo in tre o quattro. Ovviamente i più belli, i più bianchi e i più ricchi. Alla faccia vostra, poveracci!

I protagonisti sono i cliché dei cliché: il padre bacchettone (Kurt Russell) che litiga con la figlia per come si veste, ma che poi capisce che non è più una bambina e blablabla;  lo scapolo bello, dannato, giovane, ricco e sportivissimo eroe della situazione (quel cane di Josh Lucas); la madre single e un po' sdraiona che finisce tra le braccia dello scapolo bello e dannato (YAWNN!); il figlioletto della suddetta madre che è biondo e coi capelli a caschetto e molto intelligente e che parla come un adulto e che diventa subito amico del boy-toy della madre; la figlia di Kurt Russell che prima odia suo padre e poi alla fine lo capisce; il fidanzato inutile, ma ovviamente sicuro di sé, bello e sbruffone quanto basta; una clandestina sudamericana (Mia Maestro) che soffre di claustrofobia; un architetto gay con tendenze suicide e con un diamante da chilo per orecchino.

L'unico personaggio decente che emergeva un po' da tutta questa banalità è quello interpretato da Mia Maestro (la sorella meno tamarra di Sidney Bristow in Alias). Infatti con un background quasi interessante (imbarcata clandestinamente per andare a trovare il fratellino in ospedale a New York City) e col suo pianto facile, era facile affezionarcisi. Peccato che muoia male. Grazie Wolfgang! Davvero, io ci sono rimasto malissimo.

Sinceramente non so più che dire.

Ah sì! C'è Fergie che canta!

domenica 13 febbraio 2011

Recensione: Il Cigno Nero (2010)

Il Cigno Nero (Black Swan) - Darren Aronofsky (2010)

I had the craziest dream last night about a girl who has turned into a swan, but her prince falls for the wrong girl and she kills herself.
Candidato a ben cinque Academy Awards (miglior film, miglior attrice, miglior regia, miglior montaggio, miglior fotografia), è stato ampiamente fischiato dalla critica italiana alla sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia. Evidentemente qualcosa nel nostro cinema non va davvero.

Oppressa da una madre ossessiva, frustrata e piena di rimpianti, Nina è costretta a vivere in un adolescenza senza fine, circondata dai suoi orsacchiotti di peluche. Nella sua compagnia di danza, il coreografo Thomas vuole mettere in scena una nuova versione de Il Lago dei Cigni e le assegna la parte sia della protagonista Odette che della sua versione malvagia Odile. Nina, con la sua grazia e la sua eleganza è una Odette perfetta, però fatica a incarnare quello che dovrebbe essere il cigno nero: lussuria, lascivia, tentazione, inganno. La ricerca ossessiva del suo lato oscuro la porterà a scoprire aspetti di se stessa che fino ad allora erano stati semplicemente soffocati e la ingannerà conducendola al tragico finale.

Natalie Portman qui è immensa e si contrappone all'altra donna, Mila Kunis, in maniera perfetta quasi completandosi. Una è un cigno bianco: mora, graziosa, casta, alla costante ricerca della perfezione, sempre attenta alla linea; l'altra è un cigno nero: bionda, fumatrice, imperfetta nel ballo, seduttrice disattenta a quello che mangia e con chi va a letto. Completa il tutto un bravissimo Vincent Cassel che fa la parte del diavolo tentatore, insinuando in Nina il seme della pazzia.

Un'altra grande protagonista è la città di New York che non è mai stata così lugubre, scura, spettrale e al limite dell'horror. Dimenticatevi l'Empire State Building, la Statua della Libertà e Central Park, qui non ci sono. A fare la parte del leone ci sono vicoli bui, bagni sporchi dei locali, vagoni della metropolitana con vecchi maniaci arrapati e piazze deserte avvolte nel grigiore invernale che diventano una cornice soffocante a tutte le vicende e che aiutano a canalizzare meglio il senso di turbamento che il film vuole trasmettere.

Aggiungo anche che l'intera storia di Black Swan può essere letta come una rielaborazione moderna del genere classico della fiaba (pur con i dovuti cambiamenti) e in particolare de Il Lago dei Cigni. Abbiamo quindi la principessa Odette (Nina), il cigno bianco, che è tenuta prigioniera dallo stregone Rothbart (la madre di Nina) e che è alla ricerca di un principe (il coreografo Thomas) che la liberi. Questo però cade vittima del fascino di Odile (Lily),  il cigno nero, decretando la fine della stessa principessa e quando ormai se ne accorge, è troppo tardi.

Tanto di cappello quindi a Darren Aronofsky, che con questo Black Swan ha dimstrato di essere anche un bravo regista di horror psicologici.








Se non lo avete visto, guardatevi Perfect Blue di Satoshi Kon.

sabato 12 febbraio 2011

Recensione: Doomsday - Il Giorno del Giudizio (2008)

Doomsday - Il Giorno del Giudizio (Doomsday) - Neil Marshall (2008)

Doomsday è un film che qualcuno ha definito il film definitivo. E ha ragione.

La trama non ve la scrivo neanche perché tanto è come se non ci fosse. Potete tranquillamente iniziare la visione del film da qualsiasi punto della storia e godervelo lo stesso.

Comunque sia, vi elenco un bel po' di buoni motivi, messi assolutamente a caso, per vedere Doomsday:
  1. E' un film d'azione
  2. E' un film horror
  3. E' un film post-apocalittico
  4. E' un film di fantascienza
  5. E' un film catastrifico
  6. E' un film fantasy
  7. E' un film d'amore, ma solo alla fine
  8. La protagonista indiscussa è Rhona Mitra e ne sa un casino
  9. Ci sono i blindati che non sono poi così blindati
  10. Dicono fuck ogni tre minuti
  11. La protagonista ha un occhio cibernetico
  12. Ci sono dei punk-cannibali
  13. Ci sono i cavalieri, le principesse e Robin Hood
  14. Ci sono corse con le macchine
  15. Ci sono castelli medievali e l'antico regno di Camelot
  16. Ci sono i duelli nell'arena
  17. Il  negro di turno muore male
  18. All'inizio sembra quasi un film di Tarantino
  19. Ci sono gli zombie
  20. C'è Xena versione 2.0 dei poveracci
  21. C'è Alex DeLarge direttamente da Arancia Meccanica che fa il Re Artù de noantri
  22. C'è uno vestito da schiavo sadomaso che ricorda il tipo di Pulp Fiction
  23. C'è un treno a carbone, l'unico di tutta la Scozia ancora funzionante
  24. C'è la lap-dance
  25. C'è Eddie Valiant direttamente da Chi ha incastrato Roger Rabbit
 Spero tantissimo facciano un seguito.

 Due pallini e mezzo, perché almeno è divertente.

      domenica 16 gennaio 2011

      Recensione: Skyline (2010)

      Skyline (Skyline) - Greg Strause e Colin Strause (2010)

      Ieri sera sono andato a vedere questo film non molto fiducioso e sono rimasto invece sorpreso! Sì perché questo Skyline ha superato ogni mia aspettativa in fatto di schifo. Una cosa che non so neanche se riuscirò a descrivere a modo.

      - La trama non c'è! Ve la racconterei, ma non c'è proprio, mi dispiace!

      - Dire che i personaggi sono dei cliché è dire poco. C'è il protagonista che ha anche il fascino dell'artista alternativo che viene dal ghetto (va a caccia di alieni con una macchina fotografica, più alternativo di così!). C'è la coprotagonista che è una figa assurda capitata lì per caso, un po' anticonvenzionale (non vuole vivere a LA nel lusso più sfrenato, ma preferisce il fascino delle baracche di Brooklyn)  perché questo non guasta mai. C'è il migliore amico negro super ricco che è Donald Faison di Scrubs (brrr!) . C'è la compagna del migliore amico negro super ricco che sembra una battona, e forse lo è davvero. C'è un'altra tizia che non ho capito chi veramente sia, che è l'amante del migliore amico negro super ricco. C'è il latino americano poveraccio che però è molto saggio e dispensa pillole filosofiche tipo siamo qua e siamo vivi, ma anche GRAZIEALCAZZO direi.

      - La tipa anticonformista è incinta e il protagonista non è pronto ad essere padre e litigano e tu non pensi a me e CHEPPALLE!

      - Le luci del film tendono tutte al blu perché a quanto pare il blu fa tanto film di fantascienza. 

      - Gli alieni sono fatti bene anche se alcuni sembrano dei Gormiti. Sono più che altro messi là per far morire la gente, mangiarle il cervello e poter dire ehi! gli effetti speciali sono fighi vero?

      - La fine. La fine è un qualcosa di così brutto, ma così brutto che non la descrivo perché mi vergogno troppo. Sappiate però che è un finale aperto e sappiate che questo vuol dire Skyline2 in arrivo.

      - Questo film ha fatto schifo a tutti e su Rottentomatoes ha tipo il 15% di voti positivi e su IMDb ha un punteggio di 4.6. Gandissimi fratelli Strause! Avete vinto il jackpot!



      venerdì 14 gennaio 2011

      Code Geass: Lelouch of the Rebellion (2007-2008)

      Code Geass: Lelouch of the Rebellion (Kōdo Giasu: Hangyaku no Rurūshu) - Gorō Taniguchi (2007-2008)

      Impero britannico, aristocrazia, mecha, chara deisign firmato CLAMP, Gorō "Infinite Ryvius" Taniguchi, Sunrise, misticismo nordico. Dopo aver letto queste parole dovreste già essere corsi tutti bagnati a procurarvi la serie.

      Se invece siete ancora qui vuol dire che siete dei diffidenti senza precedenti, ma vi voglio bene lo stesso e per questo sarò breve e non vi porterò via molto tempo.

      Il Sacro Impero di Britannia dichiara guerra al Giappone e infine lo sottomette e lo rinomina Area 11. Per la prima volta in un conflitto vengono usati i Knightmare Frame: delle armature meccaniche potentissime e queste sono la causa principale della debacle giapponese. Qui entra in scena il nostro protagonista Lelouch di Britannia, principe decaduto e rinnegato dell'Impero, che ha ottenuto il "potere del comando assoluto", il Code Geass, da una ragazza misteriosa. Con questo potere cerca di rovesciare l'Impero e sconfiggere l'Imperatore stesso per liberare l'Area 11 e ripristinare il Giappone ante guerra. Tutto ciò con una buona dose di violenza, guerra, organizzazioni ribelli e mecha.

      Il punto di forza di questa serie è senza dubbio la sboronaggine dei protagonisti. Inutile girarci tanto intorno e cercare di un messaggio filosofico, è la sboronaggine. Si trova ovunque: disegni, dialoghi, azioni militari, combattimenti coi Frame, musiche. Tutto trasuda sboronaggine e a noi va benissimo così! Un ruolo molto importante lo rivestono anche i Knightmare Frame con i loro fucili da chilo e le loro customizzazioni a seconda del pilota. Poi abbiamo anche una buona dose di fan service (leggi: tette tette tette!), che non guasta mai. Direi che il piccolo otaku che c'è in ognuno di noi può gridare di gioia.

      La serie si compone in tutto di 52 episodi, che sono stati divisi in due blocchi da 26 episodi l'uno. Come vuole la moda attuale.

      Note interessanti:
      • Si fa molto riferimento al ciclo bretone: i Knights of the Round (traducibile come Cavalieri della Tavola Rotonda) hanno i Knightmare che prendono i nomi dei cavalieri di Artù (Lancelot, Tristan, Mordred, Percival, Galahad, Gawain, Sigfried). La nave ammiraglia di Schneizel è chiamata Avalon.
      • Il collegamento che vuole attivare l'imperatore si chiama Ragnarok e l'arma tipo nucleare si chiama FLEIJA. Sono chiari riferimenti ai miti norreni.
      • Il Sacro Impero di Britannia, al contrari di quello che si possa pensare, non c'entra nulla con la Gran Bretagna. Comprende infatti le due Americhe, il Giappone, l'Indonesia, lOceania e parte dell'Africa.





      Recensione: I Giardini della Luna (1999)

      I Giardini della Luna (Gardens of The Moon) - Steven Erikson (1999)


      Ho deciso di parlare de I Giardini della Luna perché ho notato che in Italia questo libro, come tutta la serie, è abbastanza snobbato. Male malissimo!

      Ma andiamo con ordine. Questo è il primo libro di dieci che vanno a comporre la saga La caduta di Malazan (The Malazan book of the Fallen, in originale) e dovrebbe stare sul comodino di ogni scrittore di fantasy italiano a memento di come si dovrebbe scrivere qualcosa di "fantastico".

      Siamo nel continente di Genabakis, durante la guerra di conquista iniziata dall'Impero di Malaz dopo che il trono è stato usurpato da una certa Laseen. In particolare le vicende si focalizzano sulla conquista dell'ultima città libera del continente: Darujhistan. La situazione non è però delle migliori: il corpo speciale degli Arsori di Ponti (Bridgeburners), ormai decaduto dalla sua posizione privilegiata, sta pensando a un ammutinamento. A ciò si aggiunge anche il fatto che l'Imperatrice manda un suo Aggiunto per indagare su un misterioso massacro e il suo destino andrà inevitabilmente ad intrecciarsi con quello degli Arsori. Questo per farla molto breve.

      In realtà la trama è molto più complessa. Sulla sfondo della campagna di conquista di Genabakis con tutte le sue tattiche e tutti i suoi complotti, operano anche altre entità. Capita spesso infatti di imbattersi in divinità, che però sono più simili agli esseri umani di quanto ci si possa aspetta: scendono in campo rischiando di essere sconfitti, hanno vizi e debolezze e fanno di tutto per raggiungere i loro scopi. La magia poi veste un ruolo quasi centrale nelle vicende e il mondo stesso ne è immerso, ma le sue leggi sono lasciate solo intendere.

      Il lettore viene praticamente catapultato nelle vicende e l'autore non lo conduce per mano attraverso questo mondo, ma lo abbandona a se stesso. Viene dato tutto per scontato, i personaggi non vengono presentati per niente e persino la storia stessa è un mistero. Le informazioni vengono centellinate e date al lettore tramite i dialoghi o le azioni dei personaggi. Anche lo stile di scrittura è molto particolare, essendo molto freddo, diretto, distaccato, ruvido. Sembra quasi di leggere un diario di guerra. E forse questa è proprio l'intenzione dell'autore.

      The Malazan Book of the Fallen può essere catalogato come saga dark fantasy, a mio parere. Le atmosfere sono molto cupe, un senso di morte pervade tutte le vicende, il bene e il male assoluti non esistono, ma dipendono dal punto di vista del lettore, il sangue scorre a fiotti. Per gli amanti del genere è un vero e proprio must. Non ci sono scuse.

      Note interessanti:
      • Questo libro, come poi tutta la saga, è stata inizialmente sviluppata su una piattaforma da gioco di ruolo.
      • Gardens of the Moon è stato scritto per essere la sceneggiatura di un film, poi rifiutato.
      • Le divinità sono organizzate in case e i loro membri richiamano i nomi delle carte dei tarocchi.
      • I libri che compongono l'intera saga non seguono un ordine cronologico. Troppo semplice se no!
      • Tradotto correttamente il The Malazan Book of the Fallen dovrebbe essere Il Libro Malazan dei Caduti.
      • La parola Malazan è l'aggettivo riferito al sostantivo Malaz.

        Recensione: Predators (2010)

        Predators (Predators) - Nimród Antal (2010)


        Visto che di questi tempi i sequel e i reboot vanno di gran moda, alla 20th Century Fox hanno pensato bene di farne uno anche per lo storico Predator di John McTiernan (1987). Quello con Schwarzenegger, per intenderci. Non ho specificato se questo nuovo capitolo degli alieni cacciatori sia un sequel o un reboot, perché non lo so e sono sicuro che non lo sappiano neanche loro. Diciamo che quelli della Fox hanno voluto riprendere il franchise di Pretator con questo quinto capitolo (se includiamo i due cross-over con la saga di Alien).

        Sarà che la fantascienza ha il suo fascino, sarà che gli alieni (e che alieni!) da queste parti stanno molto simpatici, specie se corazzati e armati fino ai denti, sarà l'effetto nostalgia, ma io questo film l'ho trovato godibilissimo. Certo, non urlo al capolavoro, ma è un buon film. E soprattutto è un film onesto, nel senso che mantiene le promesse. Poi per il solo fatto che il film è prodotto da Robert Rodriguez, merita qualche punto apriori.

        Dico subito che Predators presenta una trama semplice e che sa di già visto un milione di volte: bisogna sopravvivere agli alieni che ti cacciano, possibilmente uccidendoli. Questo però non è necessariamente un punto negativo, ma anzi può essere considerato un bene perché cercare di complicare le cose avrebbe portato probabilmente il film a scivolare in territori distanti da quelli del Predator originale. E poi diciamo la verità, questi film li si va a vedere solo per i combattimenti e per i fucili. Inutile mentire.

        Il cast è piuttosto numeroso e rende il film più corale rispetto al one-man show che alla fine era il primo capitolo della saga. Belle prove le hanno date soprattutto Adrien Brody e Alice Braga che poi sono anche i due personaggi più approfonditi. Anche gli altri però sono degni di nota, in particolare il simpaticissimo Danny Trejo e lo yakuza Louis Ozawa Changchien.

        Gli yautja questa volta sono ben tre e si presentano molto bene, come ci si aspettava: armati fino ai denti, sempre con le armature fighissime e sempre col look un po' rasta che apprezziamo. In più questa volta si portano anche l'equivalente extraterrestre dei nosrti segugi, solo che sono molto più cattivi e veloci. Inoltre è presentato un nuovo tipo di alieno cacciatore, molto più grosso e cattivo, e questa è una cosa bellissima.

        Un'altra cosa che mi ha fatto immenso piacere è l'ambientazione. So benissimo che è stato girato da qualche parte in America e che di particolare ha gran poco, ma a me è piaciuto. Non siamo più sulla Terra, no no. Ma in un pianeta alieno, disperso non si sa dove nell'universo, che viene usato come riserva di caccia, quasi completamente coperto dalla foresta. Dico quasi perché non è che adesso i personaggi prendono e corrono per tutto il pianeta.

        Non c'è molto altro da dire su questa pellicola, però io ve la consiglio. Se non altro vi passate un paio d'ore di divertimento.

        Note interessanti:
        • Il titolo Predators è al plurale perché vuole essere un richiamo/citazione a Aliens di James Cameron (1986)
        • Sì c'è anche Morpheus, non vi siete sbalgliati.
        • All'inizio, il corpo del poveretto squartato dall'interno è un omaggio alla saga di Alien.
        •  



          giovedì 13 gennaio 2011

          Recensione: Noein - to your other self (2005)

          Noein - to your other self (Noein - mō hitori no kimi e) - Kazuki Akane (2005)


          Noein è l'ultima creatura di Kazuki Akane, che tutti noi ricordiamo e amiamo per aver concepito Escaflowne nel lontanissimo 1996. Questa serie anime è stata una delle prime produzioni dello studio Statelight, che poi svilupperà cose come Hellsing Ultimate e Macross Frontier, per la gioia di ogni otaku.

          Andando subito al sodo, vi dico che questa serie è una figata pazzesca. Fidatevi.

          Spiegare di cosa parla Noein in poche righe non è facile, ma ci proverò. In uno dei molti futuri possibili è scoppiata una guerra tra la dimensione di La'cryma e quella di Shangri-La. Quest'ultima sta inglobando in sé le varie linee temporali perché vuole annullare tutti gli universi creandone uno unico. L'unica speranza che hanno gli abitanti di La'cryma è quello di viaggiare attraverso lo spazio tempo per trovare la Catena del Drago, unica speranza per non venire annichiliti e inglobati in Shangri-La, che troveranno nel nostro tempo.

          Come in ogni serie che si rispetti i personaggi hanno uno sviluppo molto complesso nell'arco dei 24 episodi. Troviamo Haruka, la Catena del Drago, che è desiderata in modo diverso in ognuna delle tre dimensioni in cui si svolge la storia. Nella nostra dimensione è desiderata da Yu, il suo migliore amico e studente modello, in quanto è vista come una sorta di "via di fuga" dal grigiore della sua vita. In La'cryma è desiderata perché l'unica salvezza di quella linea spazio-temporale. In Shangri-La è desiderata perché rappresenta un passato ormai perduto e distante. Affianco ad Haruka, troviamo Yu, che è presente in tutte e tre le dimensioni in tre forme diverse. Nel nostro tempo è Yu, studente modello, con una madre iper-protettiva alla quale cerca disperatamente di "ribellarsi". In La'cryma Yu è Karasu, uno dei Cavalieri del Drago alla ricerca della Catena vagando nello spazio-tempo. In Shangri-La invece Yu è Noein, causa scatenante di tutte le vicende. Fanno da contorno tutti gli altri personaggi, che hanno lo stesso un ruolo chiave nelle vicende, nonostante siano in secondo piano.

          Completa il quadro la colonna sonora, semplicemente perfetta, scritta da Hikaru Nanase.

          Quel genio di Kazuki Akane è riuscito a mescolare assieme concetti di meccanica quantistica, la teoria dei molti mondi di Everett, il paradosso del gatto di Schrödinger, citazioni di Albert Einstein e fantasy. Tutto questo va ad amalgamarsi alla trama non semplicissima, ai disegni che uniscono tecniche il tratto moderno e quello più tradizionale ombreggiato a china e alle ambientazioni che spaziano dal comune, al post-apocalittico, allo steam-punk. Ne esce quindi una serie fuori dai "canoni standard" e probabilmente non per tutti i gusti. Ma da queste parti il main-stream è guardado con molta diffidenza.

          Tutti i 24 episodi della serie sono stati pubblicati da Dynit e vi consiglio di procurarveli in un modo o nell'altro.

          Note interssanti:
          • La parola noein vuol dire scuotere (in copto) e osservare, pensare (in greco).
          • Sono presenti numerose automobili italiane come le Lancia.
          • Tutti i Cavalieri del Drago portano il nome di un uccello in lingua giapponese: karasu (corvo), fukurō (civetta), atori (fringuello), kosagi (garzetta), isuka (crociere), kuina (gallinella).





          Recensione: Tron: Legacy (2010)

          Tron: Legacy (Tron: Legacy) - Joseph Kosinski (2010)

          Tron: Legacy è il seguito del celeberrimo e geekissimo Tron del 1982. Ventotto anni sono tantissimi per fare uscire un sequel di qualsiasi cosa, così in casa Disney hanno pensato bene di rendere questo secondo capitolo fruibile anche senza aver visto il primo. Quindi potete stare tranquilli e andarlo a vedere, se volete.

          E' bello? E' brutto? E' bruttino andante, diciamo.

          Scrivo così perché gli sceneggiatori sembrano aver gettato di peso l'originalità dalla finestra di un palazzo di molti piani: padre disperso che è a capo di una multinazionale, figlio orfano (ma ricchissimo) cresciuto per strada un po' ribelle, cattivo che vuole conquistare il mondo, buono che vuole impedire che il cattivo conquisti il mondo, lui ama lei. Stop. Fine della storia.

          Di cose che ti fanno sorridere in senso buono però ce ne sono, siamo onesti. Le musiche dei Daft Punk ci stanno proprio a pennello e loro da queste parti piacciono molto. I mezzi futuristici sono da bava alla bocca, soprattutto le moto. Le atmosfere cyberpunk, rese dark dai fondali scurissimi e dalla fotografia freddissima mi fanno venir voglia di rinascere tra un centinaio di anni per poter vedere anch'io dal vivo cose del genere. Olivia "13" Wilde in tuta attillata fa la sua porca figura e noi questo lo apprezziamo. Tutte queste belle cose di certo non colmano la trama desaparecida, ma almeno zittiscono per un po' il tuo io interiore che ti fa notare che 10 euro per questa roba sono proprio tanti.

          Per concludere dico solo che la regia è buona, considerando che con questo film Joseph Kosinski è al suo debutto cinematografico.

          Note interessanti (alcune prese da questo blog):

          • Il termine originale user è stato tradotto in italiano come creativo. Perché? Mistero.
          • The grid è stato invece tradotto come la rete, facendo passare l'idea che la storia sia ambientata in tutto internet. Invece non è vero.
          • Non è tutto in 3D, anzi. E la cosa mi ha dato un po' fastidio.