venerdì 17 giugno 2011

Recensione: The Mist (2007)

The Mist (The Mist) - Frank Darabont (2007)


Stephen King e Hollywood vanno a braccetto ormai da anni con produzioni che vanno dallo scadente all’ottimo. The Mist di Frank Darabont (Il Miglio Verde, The Walking Dead) è l’ennesimo film tratto da una delle sue opere (il racconto La Nebbia contenuto nella raccolta Scheletri) ed è stato uno dei migliori film del 2007, nonostante da noi sia uscito vergognosamente con due anni di ritardo.

Dopo una tempesta violenta la ridente cittadina di Dridgton, nel Maine, viene completamente avvolta da una fitta nebbia che cela creature mostruose e carnivore che costringono un gruppo di abitanti a barricarsi in un supermercato e a lottare per sopravvivere.

Amanda Dunfrey: You don't have much faith in humanity, do you?
Dan Miller: None, whatsoever.
Amanda Dunfrey: I can't accept that. People are basically good; decent. My god, David, we're a civilized society.
David Drayton: Sure, as long as the machines are working and you can dial 911. But you take those things away, you throw people in the dark, you scare the shit out of them - no more rules. 

Nonostante il budget abbastanza limitato (18 milioni di dollari), il film riesce benissimo. Si può dire che questo sia un film perfettamente kinghiano, cioè sfrutta situazioni claustrofobiche, atmosfere orrori fiche e paurose per far emergere il lato più intimo dei personaggi. Oltre all’analisi dei personaggi, si analizza (o si vuole tentare di) anche l’intera società, che in un momento di crisi non è in grado di agire compatta e organizzata: ci si rifugia negli integralismi religiosi, nelle divisioni, nel leaderismo. Tutto ciò condurrà inesorabilmente a una spirale discendente di violenza e orrore, che terminerà con il tentativo di fuga, peraltro inutile, dei cinque protagonisti.

Ollie Weeks: What's going on?
Mrs. Carmody: It's death.

Le creature lovecraftiane, provenienti da un altro mondo non sono mai mostrate completamente, fatta eccezione per alcune. Si sa che sono là fuori, nascoste, ma non si sa come sono fatte, dove sono, cosa stanno facendo; è questo mostrare/non mostrare aumenta notevolmente il livello di tensione, perché nulla è più pauroso dell’ignoto e soprattutto dell’ignoto che dentro di sé nasconde la morte.

Sì può vedere anche un richiamo palese all’opera tanto cara a Stephen King Il Signore delle Mosche di William Golding, che è stato uno dei primi ad criticare una fiducia troppo cieca nella tecnologia e a vedere come il male e il peccato portino a un disfacimento graduale di qualsiasi società civile. Male e peccato, in King come in Golding, sono da intendersi non come concetti religiosi, ma come corruzione ad opera della società che l’uomo stesso poi conduce alla rovina.

Menzione d’onore poi va fatta anche alla scena finale letteralmente da brividi, sia per la regia che per la musica scelta: l’agghiacciante The Host of Seraphim dei Dead Can Dance.

Consiglio anche a voi di perdervi due ore nella nebbia e guardare questo film.





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